LA LIBERTÀ DEL LINGUAGGIO DI DANTE

La libertà del linguaggio di Dante fu sempre elevata, già in gioventù. Tralasciamo volutamente Il Fiore, poemetto sboccato e ricco di doppi sensi osceni, la cui attribuzione è sempre stata discussa. Non si possono, invece, tralasciare la Tenzone con Forese e le Rime petrose. Qui Dante svolge un gioco letterario e forse anche una sperimentazione linguistica, dimostrando così di saper padroneggiare anche il linguaggio basso e popolare in maniera dissacratoria e anticonvenzionale. È il preannuncio dei passi lessicalmente più spregiudicati che compariranno nell’Inferno e la prova di una duttilità verbale che troverà la sua manifestazione più raffinata nelle «schegge erotiche» presenti soprattutto nel Paradiso, negli ultimi canti. Nella Tenzone con Forese giunge a dire, riguardo la moglie, riferendosi all’insufficienza di Forese come amante:

La tosse, il freddo e l’altra mala voglia
non l’adovien per omor ch’abbia vecchi,
ma per difetto ch’ella sente al nido.

Altro gioco di parole ambigue e scabrose mostra nelle Rime dedicate a Lisetta:

ché donna dentro nella mente siede,
la qual di signoria tolse la verga:
tosto che giunse, Amore sì glila diede.

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